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18/12/2013 HA FALLITO LA COSTITUZIONE O LA REPUBBLICA?

HA FALLITO LA COSTITUZIONE O LA REPUBBLICA?

         Da quando ragiono avvedutamente (cioè da qualche anno dopo il primo gennaio 1948, anno di entrata in vigore della Costituzione italiana, allora avevo appena 8 anni, 5 mesi e 24 giorni) ho sempre visto la nostra Carta fondativa della Repubblica parlamentare d'Italia come un libro di regole di uno Stato democratico assolutamente perfetta, ancorché molte di queste regole non risultassero e tuttora non risultino attuate in maniera sostanziale. Per di più questa visione è stata favorita dalla consapevolezza che tali regole furono scritte dai nostri Padri Costituenti, Calamandrei, Pertini, Di Vittorio, Lombardi, Terracini, Foa, Longo, Togliatti, Croce, Nenni, Einaudi, solo per citare alcuni dei nomi, dopo esperienze, a dir poco totalizzanti per loro, quali la lotta al fascismo e per molti di essi la partecipazione a quel fulgido periodo della nostra storia, che fu la Resistenza.

Tali esperienze favorirono l'unione degli sforzi di tutti per il raggiungimento di un obiettivo che sembrava utopistico vuoi per la varietà delle posizioni in campo, in larga parte diametralmente opposte, vuoi per la statura dei partecipanti che, però, erano tutti animati dalla comune passione di costruire la nuova Italia senza minimamente essere distratti dalla voglia di protagonismo individuale o di gruppo. Tali forme di protagonismo, comunque, restano fine a se stesse, rappresentando, peraltro, oggi lo scempio al quale assistiamo inermi: i politici contemporanei non riescono a produrre alcunché di veramente valido per il Paese neppure una legge elettorale che rispetti i sacrosanti diritti democratici dei cittadini.

Gli sforzi compiuti dai nostri Padri Costituenti portarono all'unità d'intenti per mettere a punto un libro di regole condivise capace di essere il faro per la Repubblica nascente.

Essi, non senza fatica, ci sono riusciti, partendo dai principi di libertà, democrazia, uguaglianza, solidarietà, dignità e implementandoli in ogni ambito della vita del popolo italiano.

         Ma...il popolo, che negli anni che sono seguiti si è alternato a riempire il suolo italico, ha iniziato a compiere quei guasti e quell'opera di smantellamento che oggi ci appaiono sempre più profondi e pressoché insanabili, tanto da seminare in molti qualche dubbio sulla validità, oltreché sull'attualità, in molte sue parti della intera Carta Costituzionale.

         La cosa che mi colpisce di più in questo marasma fatto di confusione totale anche dovuta alla nascita di movimenti nuovi e spesso contrapposti, che si nutrono di populismo senza costrutto e pescano soltanto nel malessere della gente, è che in questi anni si è cristallizzata la incapacità delle forze politiche di andare incontro ai bisogni, spesso primari, delle persone e, dunque senza alcun dubbio, di porre un argine al declino da ogni punto di vista del nostro Paese che è accompagnato da un degrado che non è solo economico, politico e sociale, ma in larga parte è etico.

Sembra che l'attuazione dei principi fondanti la nostra Costituzione Repubblicana sia approdata ad un punto morto che ha la spettrale caratteristica di "non ritorno", ancorché tale annichilimento sia stato progressivo nel tempo.

Sembra che abbia preso forma una sorta di tetra rinunciai ad attuare in pieno quei principi che ne sono il fondamento, dopo 65 anni dalla sua entrata in vigore, insieme ad una aberrante volontà di riscrivere un testo che solo per la poco lucida motivazione è destinata al fallimento..

         I principi fondanti della nostra Carta restano, però, travisati e non attuati oggi mentre scrivo.

Esaminandoli ad uno ad uno non c'è dubbio che il principio della libertà è il primo a farne le spese perché appare forse il più travisato rispetto a ciò che avevano in mente i nostri Padri Costituenti e, dunque, risulta anch'esso non attuato. Libertà significa nel senso che intendevano i nostri Padri: "stato di autonomia essenzialmente sentito come diritto, e come tale garantito da una precisa volontà e coscienza di ordine morale, sociale, politico" (la definizione è presa non da testi filosofici che sono alle origini del liberalismo: le teorie giusnaturalistiche di John Locke, le teorie dei filosofi scozzesi David Hume e Adam Smith e dell'illuminismo francese, né da testi prodotti della complessa evoluzione concettuale seguita in tutta la modernità e la contemporaneità che ne analizzano gli aspetti, ma più semplicemente da un diffuso e preciso dizionario della lingua italiana: il Devoto-Oli).

Tale principio appare oggi travisato tanto che si è giunti ad una ridefinizione in senso negativo dello stesso. In tale sorta di ridefinizione si può certamente scorgere il segno indelebile che ha lasciato il "nostro" ( io non lo nomino più con il suo nome e cognome ormai da qualche anno) in questi ultimi vent'anni: "atto o episodio che rivela mancanza di controllo o di ritegno, riconducibile nei rapporti sociali, o a eccessiva confidenza o a mancanza di rispetto" (questa diversa lettura nella quale si concretizza il principio di libertà è sempre tratta dal Devoto-Oli). Mi sento a questo punto anche di aggiungere per quanto attiene ai rapporti politici: " privo di qualsiasi riferimento al bene comune che è sostituito dalla spregiudicatezza del più bieco individualismo fondato sull'interesse personale" (n. d. a.).

Il principio di libertà presente in Costituzione, peraltro, non risulta oggi  attuato nella benché minima parte. Bastono le semplici osservazioni che seguono per rendersene pienamente conto. Esso dovrebbe essere "garantito da una precisa volontà e coscienza di ordine morale, sociale, politico", ma ancorché sia particolarmente abusato sul versante della libertà di parola, di pensiero e di stampa (in nome di questi aspetti del principio si dicono e si scrivano le più strampalate baggianate che a volte non sono solo tali, ma sono anche devastanti perché possono creare guasti insanabili nelle menti dei cittadini, in particolare dei più indifesi), non lo è altrettanto sul versante della libertà di ogni cittadino di poter contare nelle scelte. Ogni cittadino dovrebbe poter affermare la propria personalità mentre, invece, quelli comuni, che costituiscono la stragrande maggioranza del popolo, sono sopraffatti dai potenti che sul piano economico e della furbizia, senza ritegno, riescono a dettare legge e a schiavizzare i primi. Ne discende che il principio di libertà non è affatto garantito dalla succitata "volontà e coscienza di ordine morale, sociale, politico".

Faccio un solo esempio: la concussione (art. 317 c.p.) e la corruzione (art. 318 c.p.) sono reati, oggi spaventosamente diffusi e in continua e sempre più allarmante espansione, che tolgono libertà ai cittadini onesti, la libertà di poter competere facendo prevalere solo il proprio  merito, spesso senza alcun rimedio. Si dovrebbe, proprio per restituire libertà a tali cittadini onesti, mettere in campo ogni azione per stroncare questi spregevoli reati anche ricorrendo ad un provvedimento eccezionale, come fu il 416 bis, che costò la vita al suo ideatore Pio La Torre. Nella fattispecie il reato è riconosciuto dal nostro Codice Penale mentre il reato di associazione mafiosa non lo era, ma le misure per contrastare i reati di concussione e corruzione fanno acqua dappertutto e, dunque, potrebbero essere stroncati con il sequestro prima e con la confisca poi dei beni acquisiti dai malavitosi che compiono questi reati. Non si fa questo, ma anche nulla in concreto per contrastare tali reati che tolgono libertà ai cittadini.

Gli esempi si potrebbero moltiplicare; ahimè, c'è solo l'imbarazzo della scelta.

         Sul principio di democrazia, ( democrazia dal greco δῆμος (démos): popolo e κράτος (cràtos): potere), che "etimologicamente significa "governo del popolo", ovvero sistema di governo in cui la sovranità è esercitata, direttamente o indirettamente, dall'insieme dei cittadini" (definizione tratta da Wikipedia), mi sono espresso molte altre volte ma anche qui c'è da sottolineare che siamo ancora molto lontani da ciò che avevano in mente i nostri Padri Costituenti che è molto vicino alla definizione sopra riportata. Mi preme ripetere che la democrazia non è affatto un sistema di governo statico, ma è un sistema in continuo movimento e, dunque, è un processo con alti e bassi. Per chiarire meglio questo concetto riporto ciò che ho detto e scritto altre volte:

"Tra tutti gli enti matematici quello che esercita una particolare attrazione sull'uomo non è né la linea retta, figura geometrica perfetta di cui parla Platone,  che peraltro  è uno dei tre enti geometrici primitivi, punto, retta, piano, fissati come tali alla base della geometria euclidea, né il cerchio, anch'esso perfetto, né altri, ma è proprio la linea curva essendo anch'essa infinita, ma imperfetta, sinuosa, libera e varia, come osserva Oscar Niemeyer , l'ultimo dei grandi architetti del Novecento scomparso di recente (Egli dice: "Non è l'angolo retto che mi attrae né la linea diritta, dura, inflessibile creata dall'uomo. Quello che mi affascina è la curva libera e sensuale: la curva che trovo sulle montagne del mio Paese, nel corso sinuoso dei suoi fiumi, nelle onde dell'oceano, nelle nuvole del cielo e nel corpo della donna preferita" ---Niemeyer). La linea curva, essendo infinita e non avendo ogni sua parte simile a sé stessa, dunque imperfetta, la fa rassomigliare incredibilmente alla democrazia.

Monarchia, oligarchia e democrazia sono universalmente definite le forme di governo possibili, ma la democrazia, così come la descrive Alexis de Tocqueville, filosofo politico e storico francese del pensiero liberale, vissuto nell'Ottocento, ha in più qualcosa di speciale. Essa ha in sé un forte senso sociale perché più che una comune forma di governo del popolo rappresenta un processo storico continuo in direzione della affermazione concreta dell'eguaglianza delle condizioni di ogni cittadino. In più Tocqueville profetizza che la tendenza generale ed inevitabile dei popoli sia la democrazia. Questa affermazione, fatta quasi due secoli fa, ha certamente un valore profetico e si sposa sorprendentemente con l'idea del socialismo e poi del marxismo che dell'uguaglianza hanno fatto la loro bandiera anche sul piano economico oltre che sul piano giuridico, civile e politico seppure dando al problema soluzioni diverse. Per questo motivo si può ritenere che la linea curva rappresenti più di ogni altro ente matematico la democrazia, ancorché imperfetta ma che tende alla perfezione, pur non essendo allo stato attuale simile a tutte le sue parti, le quali però anch'esse sono imperfette ma tendono alla perfezione. Le parti costituenti della democrazia (n.d.a. che peraltro inglobano in sé tutti gli altri principi) sono: la rappresentanza, la concordia, l'esercizio dei diritti e dei doveri, la responsabilità, l'appartenenza, la dignità, la partecipazione, la giustizia, la libertà,ecc., oltre che, naturalmente, l'uguaglianza. Si può infatti immaginare che la democrazia sia una curva che tende asintoticamente ad assumere un determinato status della società nella quale opera e che questo status sia la tendenza sempre più prossima al raggiungimento della perfezione delle sue parti che nell'immaginario epilogo del processo si concretizza in una società giusta che ha al centro la libertà di ogni cittadino e l'eguaglianza di ognuno di essi con l'altro.".

Fermo restando questo concetto, che dà qualche alibi a chi in questi 65 anni del dopo-costituzione non ha contribuito a realizzare la piena democrazia, va ribadito che quest'ultima tende, però, soprattutto al governo del popolo, ma in questa fase della nostra Storia il popolo non governa proprio nulla né direttamente né indirettamente e non governa neppure se stesso dal momento che non ha la piena libertà di farlo come si osservava in precedenza.

Un solo esempio anche qui tratto dalla cronaca attuale.

 La vicenda della legge elettorale. Da ben otto anni il nostro Paese ha vissuto utilizzando una legge elettorale incostituzionale, quindi, il nostro popolo è stato chiamato a partecipare alle scelte elettorali (fondamentali strumenti della democrazia) non in condizioni di esercitare i suoi diritti democratici, ma in condizioni di non rispetto di quei diritti, situazione che, ovviamente, rappresenta non uno stato di avanzamento della curva democratica, ma uno stato di arretramento rispetto agli obiettivi di perfezione delle sue parti che essa lascia intendere. Stallo dunque del processo democratico e privazione della democrazia agli inermi cittadini di questo Paese.

Anche qui gli esempi si potrebbero moltiplicare; ahimè, c'è solo l'imbarazzo della scelta.

        Sul principio di uguaglianza, intesa come uguaglianza sociale e antropologica, non ho molto altro da aggiungere se non quello che ho scritto sull'argomento su questo sito (mio blog: http://pagina principale2 - mario-carolla.123homepage.it) il 2 novembre del corrente anno, che riporto:

"La filosofia dell'antichità ha toccato per la prima volta il concetto di uguaglianza tra gli uomini con l'avvento dello stoicismo attorno all'inizio del III secolo a.c. ad opera di Zenone di Cizio, dopo che nel IV secolo a.c. Platone, il suo discepolo Aristotele e la filosofia dominante della Grecia antica avessero posto l'accento invece sulla natura diversa dell'uomo. Lo stoicismo che nelle sue tre fasi si estende fino al III secolo d.C. si incrocia con l'avvento del Cristianesimo che, affermando la comune discendenza dell'uomo dall'unico Padre, quindi uomo dotato della stessa dignità, rafforza il concetto di uguaglianza che deve unire tutti gli uomini.

Naturalmente, nel corso dei secoli tale principio non è stato tanto facilmente accolto e la storia dell'intero Medioevo dimostra che l'idea della disuguaglianza tra gli uomini ha dominato per secoli.

Nel XVII e XVIII secolo l'idea dell'uguaglianza tra gli uomini ha cominciato a giocare un ruolo decisivo anche riguardo alle questioni sociali e politiche ad opera di filosofi dello spessore di Hobbes, Locke, Rousseau, Kant, prendendo poi sistematicamente corpo nel XIX secolo ad opera di Marx ed Engels e nei secoli successivi della modernità con altri illustri pensatori.

Ciò nonostante, senza voler togliere nulla alla positiva evoluzione del principio di uguaglianza che si è determinata in ogni campo della filosofia, del sociale, del diritto, della politica, è amaro registrare ancora oggi che tutto non è ancora compiuto. Il nostro Paese poi è un esempio di incompiutezza su tale questione; basti solo riflettere, infatti, sullo stato di attuazione dell'art. 3 della nostra Carta costituzionale (1948). Se poi questo riferimento appare inadeguato, mi rendo conto infatti che la materia dell'art. 3 è piuttosto complessa in quanto il suo contenuto è un autentico campo minato per l'uguaglianza, si può fare riferimento a cose molto più concrete, cioè, a cittadini in carne ed ossa che dimostrano senza alcun dubbio come si può essere più disuguali degli altri. Alcuni di questi cittadini di questi tempi sono su tutti i giornali e tutte le emittenti ne parlano; essi sembrano segnati, non saprei definire bene da che cosa, ma certamente sono segnati da uno spirito maligno che li rende diversi dagli altri cittadini.

Concludo elencandoveli: uno è il solito "nostro" su cui non intendo dire nulla di più di quanto abbia detto in passato perché spero che lo dicano presto e definitivamente quei parlamentari che hanno dignità e che siedono al Senato (n.d.a. la decadenza da senatore votata al Senato aggiunge qualcosa di osceno alla storia dell'uguaglianza dei cittadini perché dopo quella data ancora nessuno è intervenuto per far applicare una sentenza per un reato gravissimo passata in giudicato seguita da una decisione che azzera ogni tutele e privilegi che la cosiddetta "casta" si è costruita in questi anni e da una confermata sentenza di interdizione dai pubblici uffici. Il "nostro", dunque, è macroscopicamente disuguale agli altri cittadini); in questi mesi, poi, si è aggiunta un'altra gentile signora di nome Giulia Maria Ligresti che, considerata la vita agiata che conduceva prima, non si è adattata al carcere; essa non è stata ritenuta uguale alle altre detenute che probabilmente hanno condotto prima una vita di stenti e che magari per mangiare qualcosa hanno rubato la classica "mela".".

Anche qui, ripeto, gli esempi si potrebbero moltiplicare; ahimè, c'è solo l'imbarazzo della scelta.

         Ma, voglio chiudere questa riflessione sull'uguaglianza con una domanda semplice che  s'impone perché è dirimente : come si può essere uguali se alcuni cittadini sguazzano nel benessere e nell'agio e spesso starnazzano nel superfluo (decine di migliaia di euro di stipendi, pensioni d'oro, buonuscite di milioni di euro, lauree comprate senza ritegno, ecc., tra questi ecc. metto anche gli stipendi, le pensioni e i privilegi dei politici dei vari livelli) e altri cittadini sono tentati dal suicidio e si suicidano perché non riescono più a mettere il piatto a tavola per la propria famiglia oppure, mettendo in secondo piano questi gesti estremi, non riescono semplicemente a racimolare i soldi per l'iscrizione all'Università dei propri figli dove le tasse da pagare sono tali da essere accessibili solo ai ricchi e ad altri capaci di compiere sacrifici enormi e che, comunque, sono in condizioni di farli? E gli altri che non sono neppure in condizioni di compiere quei sacrifici? Dove è il connesso principio delle pari opportunità iniziali?. Ciò inficia a monte il concetto del "merito" di cui tanto si parla a sproposito e non nella sostanza che esige preliminarmente le pari opportunità iniziali. Da questo punto di vista l'art. 3 della nostra Carta, soprattutto per quanto riguarda l'aspetto sostanziale, costituisce un fallimento completo.

         Sul principio di solidarietà, la cui definizione generale che non scomoda affatto i suoi aspetti sociali e antropologici, tratta dal Sabatini Coletti, recita: " Rapporto di comunanza tra i membri di una collettività pronti a collaborare tra loro e ad assistersi a vicenda", ho qualche ritrosia ad affrontarne la riflessione perché temo di evidenziare l'aspetto animalesco più becero dell'umanità: l'egoismo monocolo e spietato condito negli ultimi tempi dall'egolatria di molti personaggi più o meno noti, esempi fulgidi di imbecillità congenita, come quella del "nostro" (anche qui non posso fare a meno di citarlo, ma a sua parziale discolpa devo dire che in questi 65 anni gli esempi sono molti).

L'art. 2 della Carta oltre ad affermare che "la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo..." afferma anche che "richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.".  Rileggendo la definizione di solidarietà riportata sopra ci si può facilmente rendere conto come questo dovere che tutti i cittadini e le organizzazioni del Paese dovrebbero sentire non viene per nulla praticato o lo è solo a parole e spesso maldestramente e con sfrontatezza. Analizzando il fenomeno possiamo dire che in politica siamo passati da una fase in cui il rapporto di comunanza tra i membri di una comunità pronti a collaborare tra loro, ancorché raggruppati in partiti, e ad assistersi a vicenda è stato improntato a regole non scritte di convivenza civile e rispetto reciproco, almeno per gli aspetti formali, ad una fase in cui è del tutto cancellato il rispetto per gli altri e per le opinioni che essi esprimono, ma tale rapporto appare profondamente inquinato dall'annichilimento di ogni forma di convivenza civile. Abbiamo sostituito a questo doveroso rapporto di solidarietà la denigrazione dell'altro, le ingiurie, i "vaffa" e tutti i turpiloqui atti a smontare l'opinione altrui e far prevalere la propria.

In economia assistiamo ad un'azione di governo (non solo dell'ultimo governo) che ha progressivamente confinato in un miserabile ghetto la stragrande maggioranza della popolazione. Essa è stata confinata nel limbo della povertà e, invece, tale azione ha fatto si che diventassero sempre più ricchi coloro che erano partiti da condizioni iniziali di preminente agiatezza e che diventassero ricchi anche coloro i quali avendo acquisito condizioni favorevoli alla scalata le hanno sfruttate sempre meglio, spesso sgomitando con furbizia, per arrivare in vetta.

Per ciò che attiene all'aspetto sociale possiamo registrare la prova del nove del fallimento del principio di solidarietà. Devo premettere una condivisa definizione di solidarietà sociale tratta da The blackwell enciclopedia of sociology – volume IX – G. Ritzer – Blackwell Publishing – 2007:

"La solidarietà sociale è uno stato di unione o coesione che esiste quando le persone sono integrate attraverso forti legami sociali e credenze condivise e, anche, regolate da linee guida ben sviluppate per l’azione (valori e norme)."

Sfido chiunque ad intravedere nella nostra società di oggi questo "stato di unione e coesione". Si palpa con mano e si sente sulla nostra pelle una divaricazione sociale che è di gruppo ma anche individuale. Ognuno si sente portatore della verità e combatte con ogni mezzo, alle volte anche illeciti, per prevaricare gli altri con le proprie abitudini, idee e stili di vita fondati sull'apparire. Chi è più visibile nel nostro mondo di oggi è migliore degli altri e ciascuno, pur di apparire migliore degli altri, è disposto anche a prostituirsi eticamente o fisicamente. A parziale attenuazione di questo stato di cose devo dire che la solidarietà sociale non la abbiamo mai conosciuta anche nella fase iniziale del percorso costituzionale della nostra Repubblica. La contrapposizione tra fascisti e antifascisti ha a lungo occupato la nostra vita e continua ad occuparla. In tempi recenti si è sovrapposta visibilmente la contrapposizione tra i berluscones e gli anti berluscones che continua ancora ad imperversare nella nostra vita nonostante la condanna del capo e delle condanne che sono dietro l'angolo (A proposito ripeto, ma quando lo arrestano il capo?).

Anche qui gli esempi si potrebbero moltiplicare; ahimè, c'è solo l'imbarazzo della scelta.

Per quanto riguarda il principio di dignità devo dire che esso pervade in molti punti la nostra Carta. Ciò è anche spiegabile con il fatto che al momento del suo concepimento il nostro Paese era appena uscito da una fase drammatica della sua storia conclusasi con una guerra mondiale devastante. Voglio aggiungere che la nostra è stata la prima Costituzione del dopoguerra a porre in primo piano il principio della dignità della persona umana in ogni sua sfaccettatura che ha informato di sé tutte le Costituzioni europee e mondiali venute dopo.

Dignità della persona umana, dei comportamenti, dei gruppi, delle scelte.

Dignità significa: "Condizione di nobiltà morale in cui l'uomo è posto dal suo grado, dalle sue intrinseche qualità, dalla sua stessa natura di uomo, ed insieme dal rispetto che per tale condizione gli è dovuto e ch'egli deve a sé stesso" (tratto dal Dizionario enciclopedico italiano - Istituto della Enciclopedia Italiana - Treccani). Se questo era il significato che i nostri Padri hanno dato al principio di dignità, a ben leggere la situazione che oggi in ogni settore della vita del Paese viviamo, c'è solo da rabbrividire nel constatare come anche qui ci troviamo lontani mille e più miglia dal significato originario.

Un solo esempio anche per la dignità.

Il "nostro", principale ma non il solo responsabile del degrado politico, economico e sociale da quando è sulla scena politica, non disdegna di sfruttare le sue disavventure giudiziarie, politiche e private per incolpare gli altri delle sue disgrazie e dei suoi reati senza un minimo cenno ad una autocritica e senza alcun pudore ad accusare magistratura, avversari politici e i suoi stessi poveri accoliti con i quali in passato ha avuto rapporti anche criminosi.

Tali comportamenti sono giudicati, non solo dai suoi più stretti collaboratori, ma da milioni di elettori comportamenti giusti. Mi sembra proprio che ciò denoti una totale assenza di dignità personale e di gruppo. Le persone che perdono dignità non si possono giustificare in nessun caso neppure nel caso di necessità impellenti e vitali, tanto meno nelle persone che la perdono per miseri interessi personali o per ignoranza perché hanno l'indolenza di non saper leggere la realtà che ruota loro attorno.

L'uomo degno è colui che nel bene vive consapevolmente e scrive la sua storia.

Anche qui, ripeto ancora una volta, gli esempi si potrebbero moltiplicare; ahimè, c'è solo l'imbarazzo della scelta.

            E allora! "La domanda sorge spontanea":

Ha fallito la nostra Carta o ha fallito la nostra Repubblica?

Sono fermamente convinto che la nostra Carta non abbia fallito e che tali principi fondamentali debbano restare a suo fondamento, ma sono altrettanto convinto che è necessario procedere ad una seria rifondazione della Repubblica nella sua parte più concreta che è il popolo, suo corpo vivente e pulsante.

 Ce la possiamo fare se decidiamo, tutti insieme attraverso la partecipazione costruttiva alle scelte, di mettere al centro la Cultura, che non può essere riservata solo a pochi fortunati che la incontrano, ma che deve, in primis, essere considerata da tutti il bene comune.

Solo mettendo a coltura la cultura nel nostro amato Paese potremo salvarlo.

2/11/2013 IL PRINCIPIO DI UGUAGLIANZA

IL PRINCIPIO DI UGUAGLIANZA

La filosofia dell'antichità ha toccato per la prima volta il concetto di uguaglianza tra gli uomini con l'avvento dello stoicismo attorno all'inizio del III secolo a.c. ad opera di Zenone di Cizio, dopo che nel IV secolo a.c. Platone, il suo discepolo Aristotele e la filosofia dominante della Grecia antica avessero posto l'accento invece sulla natura diversa dell'uomo. Lo stoicismo che nelle sue tre fasi si estende fino al III secolo d.C. si incrocia con l'avvento del Cristianesimo che, affermando la comune discendenza dell'uomo dall'unico Padre, quindi uomo dotato della stessa dignità, rafforza il concetto di uguaglianza che deve unire tutti gli uomini.

 

Naturalmente, nel corso dei secoli tale principio non è stato tanto facilmente

accolto e la storia dell'intero Medioevo dimostra che l'idea della disuguaglianza tra

gli uomini ha dominato per secoli.

Nel XVII e XVIII secolo l'idea dell'uguaglianza tra gli uomini ha cominciato a giocare

un ruolo decisivo anche riguardo alle questioni sociali e politiche ad opera di

filosofi dello spessore di Hobbes, Locke, Rousseau, Kant, prendendo poi

sistematicamente corpo nel XIX secolo ad opera di Marx ed Engels e nei secoli

successivi della modernità con altri illustri pensatori.

 

Ciò nonostante, senza voler togliere nulla alla positiva evoluzione del principio di

uguaglianza che si è determinata in ogni campo della filosofia, del sociale, del

diritto, della politica, è amaro registrare ancora oggi che tutto non è ancora

compiuto. Il nostro Paese poi è un esempio di incompiutezza su tale questione;

basti solo riflettere, infatti, sullo stato di attuazione dell'art. 3 della nostra Carta

costituzionale (1948). Se poi questo riferimento appare inadeguato, mi rendo

conto infatti che la materia dell'art. 3 è piuttosto complessa in quanto il suo

contenuto è un autentico campo minato per l'uguaglianza, si può fare riferimento

a cose molto più concrete, cioè, a cittadini in carne ed ossa che dimostrano

senza alcun dubbio come si può essere più disuguali degli altri. Alcuni di questi

cittadini di questi tempi sono su tutti i giornali e tutte le emittenti ne parlano;

essi sembrano segnati, non saprei definire bene da quale, ma certamente sono

segnati da uno spirito maligno che li rende diversi dagli altri cittadini.

 

Concludo elencandoveli: uno è il "nostro"  (sappiate che io non lo nomino più con

il suo nome e cognome ormai da qualche anno) su cui non intendo dire nulla di

piùdi quanto abbia detto in passato perché spero che lo dicano presto e

definitivamente quei parlamentari che hanno dignità e che siedono al Senato; in

questi giorni poi si è aggiunta un'altra gentile signora di nome Giulia Maria Ligresti

che, considerata la vita agiata che conduceva prima non si è adattata al carcere;

essa non è stata ritenuta uguale alle altre detenute che probabilmente hanno

condotto prima una vita di stenti e che magari per mangiare qualcosa hanno

rubato la classica "mela".

Titolo

08/09/2013 I NABABBI DEL CALCIO E LA KYENGE

Premetto che anch'io, come tanti italiani, tifo per la Nazionale di calcio e domani sera vedrò la partita contro la Repubblica Ceca. Una volta il calcio mi piaceva molto di più, lo ho praticato e vedevo tutto ciò che lo riguardava; ciò fino a quando il mondo del calcio non è stato inquinato dai tanti profittatori  imprenditori che oggi ci sguazzano che lo hanno fatto diventare una comune attività economica (gli intramontabili principi dello sport sono dimenticati) che consente loro di lucrare senza ritegno.

Quando ieri Cécile Kyenge, incontrando la Nazionale di calcio italiana, ha detto nel suo discorso: "la Nazionale è un modello dell'Italia di domani, parla per tutti, è già una vittoria..." mi sono sentito rabbrividire per due motivi:

  1. spero con tutte le mie forze che non sia un modello dell'Italia di domani perché non auspico ai nostri giovani una vita da nababbi come quella che fanno i calciatori (anche bravi ragazzi come quelli selezionati per la Nazionale, ma che sanno tirare solo qualche calcio ad una sfera di cuoio) guadagnata in virtù di saper tirare calci ad un pallone; penso ai tanti giovani impegnati nella Ricerca che stentano ad arrivare alla fine del mese con quello che guadagnano e danno molto di più al nostro Paese;
  2. contesto il fatto che parli per tutti perché almeno per me non parla in quanto non condivido l'insensato tappeto d'oro che è stato steso davanti ai calciatori e al mondo del calcio con profitti sbalorditivi rispetto alle altre attività umana.

Non condivido perciò il senso di quel messaggio anche se ho apprezzato alcune parti del discorso e, in particolare, quella nella quale ha fatto riferimento a Martin Luther King.

Aggiungo che amo tutti i colori della pelle e che non sono affatto razzista, anzi, credo che sia necessario, in Italia e nel mondo, assumere iniziative molto severe contro coloro che praticano questa vergognosa, odiosa e incivile pratica. Ma aggiungo anche che amo anche l'intelligenza e quando un ministro della Repubblica ne mostra poca, indipendentemente dal colore della sua pelle, va criticato.

Credo che la Kyenge non si sia informata minimamente delle cifre che girano nel mondo del calcio e se lo ha fatto è doppiamente colpevole. Ve ne do un saggio.

Le cifre del calciomercato in Italia nella sessione estiva del 2013 sono riportate sotto e rappresentano quanto i magnati del calcio hanno investito e guadagnato. Trattasi di cifre da capogiro nonostante la crisi. è l'effetto della fede indefessa nel "Dio Denaro" che porta ciò nel capitalismo moderno del nostro Paese (ma non solo, in Europa e nel mondo si scopiazza un po' dall'Italia senza ancora eguagliarla).

Buona riflessione!

SPESE

 

INCASSI

Napoli

85M

 

Roma

 105M

Roma

66M

 

Napoli

68M

Fiorentina

36M

 

Fiorentina

40M

Juventus

32M

 

Juventus

38M

Inter

31M

 

Udinese

26M

Milan

28M

 

Parma

18M

Lazio

19M

 

Milan

16M

Udinese

14M

 

Genoa

16M

Sassuolo

13M

 

Sampdoria

13M

Genoa

12M

 

Torino

13M

Titolo

03/09/2013 LA QUALITA' DELL'OFFERTA FORMATIVA

Alcuni giorni fa ho letto un comunicato del segretario generale della FLC CGIL, Domenico Pantaleo, che conosco personalmente benissimo da tempo e che apprezzo sempre per le sue riflessioni profonde che fa da quando opera nella CGIL. Tale comunicato era titolato: "I settori della conoscenza esigono risposte e non rinvii".

Pantaleo passa in rassegna tutti i settori della scuola pubblica ed evidenzia sia le carenze in atto in essi sia l'insufficienza delle proposte governative. C'è un riferimento che mi ha colpito quando a proposito delle immissioni in ruolo di docenti e dirigenti scolastici dice: "sono del tutto insufficienti a garantire una adeguata qualità dell'offerta formativa". Sottolineo una parte di questa frase:"una adeguata qualità dell'offerta formativa", perché anche nella mia amata FLC CGIL si parla ormai poco, dandola come un obiettivo scontato da raggiungere, della qualità dell'offerta formativa.

Credo che quando si parla di qualità dell'offerta formativa si debba anche sottolineare cosa s'intende per essa e che non ci sia nulla di meglio per raffigurarla se non la riflessione che segue, fatta da me molto tempo dopo gli anni nei quali aderii alla CGIL; riflessione pubblica datata il 3 maggio 2002, ma che ha per me un significato estremo d’attualità, che parte dalla sottolineatura delle stranezze del mondo attuale per giungere alla qualità della scuola pubblica secondo don Milani.

 

“Di fronte alle stranezze del mondo, chi vive riflettendo sull’esperienza terrena dell’uomo non si può fare a meno di fare una considerazione di senso, aldilà di quanto sapientemente è fissato nei trattati delle scienze sociali autonome.

        Un aspetto importante, spesso determinante, dell’esistenza di un uomo è che essa è caratterizzata dalla sua vocazione alla lotta: alla lotta contro se stesso, prima, per affermare la sua personalità e alla lotta contro gli altri, poi, per affermare la sua volontà di supremazia.

 Così accade, quasi sempre, che più lui raggiunge risultati apprezzabili sul piano delle condizioni materiali personali più stenta a controllare la sua voglia di potere e di sopraffazione nei confronti degli altri. Questa china si protrae fino a raggiungere parossismi che qualsiasi essere di buon senso (lo stesso mondo animale può fornire limpidi esempi) eviterebbe di raggiungere, non fosse altro che per l’istintivo spirito di conservazione connaturato in tutti gli esseri viventi.

La storia dell’umanità ci ha, tra l’altro, tramandato che quanto più le classi dominanti di una determinata società raggiungono il benessere economico tanto più in quella società finiscono col prevalere sistemi di governo ispirati da linee di pensiero che si rifanno ad un certo liberalismo strisciante, da definirsi meglio individualismo economico o senz’altro liberismo se non si vuole offendere troppo l’idea liberale. Tali sistemi assumono forme diverse, ma tutte, sostanzialmente, hanno in comune la tendenza a minare le fondamenta dell’assetto statuale retto sui diritti delle persone. Tutto ciò si può toccare oggi con mano nella fase storica che il mondo attraversa.

Tra queste forme ce ne sono alcune più moderate, come quelle che stanno prevalendo negli Stati Uniti, in Inghilterra, in Italia e in Francia (solo per fare qualche esempio) ed altre, più tetre, che ormai non hanno più nulla del liberalismo e che declinano verso l’assolutismo come quelle già affermatesi in Israele con Sharon e in Austria con Haider e come quelle che ambiscono di affermarsi in Francia con Le Pen, in Inghilterra con Griffin e, perché no, in Italia con Bossi (n.d.a. tra questi ultimi nella storia più recente potremmo citare Saddam Husseim, Muammar Gheddafi, Hosni Mubarak, Basar el-Assad, Hassan Rouhami, Vladimir Putin, Xi Yinping e, perché no, in Italia il "nostro" che non nomino più da tempo e Grillo, ma naturalmente mi scuso se ho dimenticato qualche altro che andrebbe ricordato tra questi nobili personaggi).

        Le forme di governo più moderate sopra richiamate hanno una caratteristica in comune: il welfare state va assumendo sempre più un profilo basso perché, ad esempio, la solidarietà anziché essere intesa come principio su cui fondare il sistema di tutele dei diritti fondamentali per ciascun cittadino, viene intesa, nella migliore delle ipotesi, come forma di carità, di solidarietà personale che non giova per nulla all’obiettivo che ogni Stato moderno deve porsi: compiere il massimo sforzo per l’emancipazione dei suoi singoli cittadini. Le altre forme, quelle più tetre, addirittura finiscono col negare il welfare state e, nella aberrante scala dei principi alla quale fanno riferimento, la solidarietà deve cedere il posto all’esclusione.

        La strada verso queste ultime forme è pericolosamente in discesa ed è molto facile oggi scivolare fino al fondo di essa se non si pone un freno cercando di affermare uno Stato sociale dal profilo alto.

        Si vuole qui portare un solo esempio, traendolo da un ambito significativo dell’organizzazione sociale, qual è quello dell’istruzione che spesso l’uomo ha trasformato in strumento per esercitare il suo potere (n.d.a. in questi anni l'abbandono totale della scuola pubblica ha solo questa antica motivazione).

        Don Lorenzo Milani, parroco di Barbiana e fondatore dell’omonima scuola, al quale il 19 maggio prossimo (n.d.a. la marcia di Barbiana si svolge ogni anno in suo ricordo) è dedicata una marcia pacifica per la qualificazione e il rilancio della scuola per tutti e per ciascuno con partenza da Vicchio del Mugello (tra i promotori la CGIL Scuola), ci ha lasciato una ricca eredità di pensiero. Questa dovrebbe essere messa di più a frutto nella formazione iniziale ed in itinere degli insegnanti perché induce spunti di riflessione dei quali gli insegnanti e la scuola tutta, oggi, hanno bisogno più che mai, proprio per contribuire a contrastare le tendenze deleterie cui ho accennato sopra.

La necessità di partire da una conoscenza reale, profonda e non di routine degli alunni, come persone, e del loro ambiente di vita, la necessità si sopperire a ciò che l’ambiente non può fornire loro con un tempo scuola più lungo, di colmare il divario tra chi possiede gli strumenti linguistici e chi non li possiede, la costante preoccupazione che deve avere l’insegnante di fornire le giuste motivazioni allo studio ed altre indicazioni ancora che scaturiscono dalle Sue lettere rappresentano acquisizioni del pensiero pedagogico che, ancora oggi, nonostante i lenti passi in avanti fatti in questi 50 anni, la scuola italiana non riesce a praticare compiutamente, anzi vengono rimessi continuamente in discussione.

        Don Milani insiste; nella sua celebre Lettera ad una professoressa: “La riforma che proponiamo – Perché il sogno dell’eguaglianza non resti un sogno vi proponiamo tre riforme. I- Non bocciare. II- A quelli che sembrano cretini dargli la scuola a pieno tempo. III- Agli svogliati basta dargli uno scopo.”

La riforma del sistema educativo proposta dal governo delle destre in Italia, oltre al confuso tentativo operato di strumentalizzazione anche della figura di questo grande intellettuale ed apostolo (nel documento Bertagna sembrava quasi che il pensiero di Don Milani, esplicitamente citato, fosse l’ispiratore della proposta) ha il chiaro intento di andare in una direzione completamente opposta a quella che aveva in mente il prete di Barbiana.

Il ridimensionamento del sistema d’istruzione pubblico, la riaffermazione della frammentazione del sistema, la scelta precoce a tredici anni tra Licei, da un lato, e Istruzione e Formazione professionale dall’altro, il buono scuola, approdato da quest’anno anche in Puglia, in un’ottica di subdolo e preoccupante antistatalismo e tante altre ciliegine sparse qua e là nel progetto in discussione in questi giorni in VII Commissione Istruzione del Senato (n.d.a. e le tante altre sciocchezze che anche ministri recenti, non solo la Moratti e la Gelmini, hanno voluto introdurre nel martoriato sistema scolastico e formativo italiano) negano, di fatto, il principio della solidarietà, come sopra è stato esplicitato, ricacciando indietro nel ghetto delle loro condizioni socio-ambientali di partenza le giovani generazioni che si affidano alla scuola. Tutto ciò sembra essere funzionale solo al restringimento degli spazi di democrazia e alla riproduzione della classi dirigenti come accadde all’inizio del ventennio fascista.

        Certamente, questa non è la scuola che voleva Don Milani e, dunque, il desiderio di lanciare un appello sorge spontaneo nel cuore di chi crede nei valori diffusi dalla Sua opera e diventa bisogno di comunicazione: è necessario resistere!”.

        Leggendo attentamente questo brano si comprende perché, anche in politica non si debba perdere occasione per condividere valori forti, soprattutto quando ci si trova di fronte al decadimento morale che è sotto i nostri occhi e che l’ambiente degradato nel quale siamo immersi alla fine finisce inevitabilmente con l’esprimere.

 

03/08/2013 LA LOTTA ALLE MAFIE

Devo subito dire una cosa che mi viene spontanea e la dico senza infingimenti: complimenti a quei giovani che hanno scelto questo modo stupendo di impegnare parte delle loro vacanze e complimenti allo SPI di Brindisi che è sceso in campo senza riserve dedicando parte del suo tempo, sempre prezioso, per fornire loro il supporto logistico nel campo di Torchiarolo, in quella villa confiscata alla mafia, il cui proprietario, come è noto, è stato il cassiere della Sacra Corona Unita, mafia dominante nel Salento e in Puglia. Naturalmente, accomuno in queste mie esternazioni, che sono anche di gratitudine, le altre Organizzazioni che in tutta Italia s'impegnano a portare avanti questo progetto, in particolare Libera e ARCI, oltre che la FLAI e la CGIL nel suo complesso.

In premessa, dovendo essere fedele alla mia storia, che è la storia di una vita dedicata alla scuola come studente prima, come molti di questi giovani, e dopo come docente, come dirigente scolastico e come sindacalista, devo anche dire che non farò un lungo e tedioso sermone, ma cercherò solo di evidenziare due punti che ritengo utili per tutti ricordare.

         Il primo riguarda l'impegno con cui un sindacato fatto di persone anziane, i pensionati, sempre più anziani e sempre più numerosi per la crescente "speranza di vita", spende il suo tempo prezioso, come ho detto prima, nel sociale. Oltre alle tantissime attività che lo SPI CGIL svolge, parte di questo tempo prezioso lo dedica con passione alle generazioni più giovani perché questo sindacato ritiene che costruire un rapporto intergenerazionale proficuo sia di fondamentale importanza per la vita stessa dei componenti delle due parti.

         Noi della SPI CGIL abbiamo un obiettivo chiaro in proposito: vogliamo mettere in campo ogni iniziativa al fine di favorire l’incontro tra cittadini diversi per età che, però, hanno in comune la volontà di scambiare le loro esperienze in una prospettiva di crescita sociale. Non si tratta dunque del trasferimento univoco d’idee e modi d’essere dagli anziani ai giovani, presuntuosamente ritenuti da alcuni fondati sull’assoluto, non si tratta di un rapporto educativo pedagogicamente datato unidirezionale, ma di una relazione speciale che ha al centro la primaria esigenza della interazione profonda tra esseri umani che, di volta in volta, si incontrano per confrontare sentimenti degni dell’Uomo: la comprensione degli altri, la capacità di compiere sacrifici per le cause nobili (compreso lo studio), il coraggio delle decisioni, la responsabilità delle proprie azioni, il sapersi incutere forza per superare gli ostacoli, l’equità, la giustizia, la solidarietà, l’anelito continuo alla Pace, il rispetto della dignità propria e degli altri e altri sentimenti ancora di nobile e alto livello capaci di adornare come splendide ghirlande di fiori l’animo umano.

          Naturalmente, il collante che tiene insieme i vari aspetti di un tale ambizioso obiettivo (ambizioso perché nella nostra società distratta contemporanea si tende di più a chiudersi nel rassicurante ambito del gruppo che non ad aprirsi agli altri) non può che essere la solidarietà. Dunque, la precondizione perché si centri l'obiettivo è che tutti facciano tutto per portare sollievo, benessere e vantaggi agli altri con i quali ci si rapporta. In questo consiste per noi un rapporto intergenerazionale proficuo.

         Non scendo nei particolari delle iniziative che si possono mettere in campo per centrare questo obiettivo, che sono tante (sarebbe troppo lungo elencarle); ma accenno soltanto a qualche esempio che possiamo trarre dal rapporto di ricerca IRES CGIL- SPI "Il capitale sociale degli anziani", Roma, febbraio 2012, che evidenzia i contributi che le persone mature e anziane possono dare al benessere sociale e dunque anche delle giovani generazioni, ma che, a loro volta aggiungo io, le giovani generazioni possono dare a tutti (attività di cura e aiuto gratuite, nel complesso delle relazioni familiari, amicali e di vicinato, partecipazione al volontariato e alle diverse forme di partecipazione sociale, partiti, sindacati, comitati cittadini, ecc.). Trattasi di notevoli contributi non solo verso la società, ma anche verso se stessi in quanto sono attività che, abbattendo l'isolamento individuale della persona che le pratica, risultano determinanti per la costruzione della cittadinanza attiva e dunque creano benessere alla persona.

 Un'altra indicazione possiamo trarla dalle iniziative varate da LiberEtà, che è il mensile dello SPI CGIL . Questo giornale il 2005 ha dato i natali al "Premio LiberEtà Generazioni", promosso in collaborazione con il Progetto memoria dello Spi Cgil e l’Associazione Proteo Fare Sapere. Trattasi di un progetto in cui i giovani raccolgono le testimonianze degli anziani trasmettendone la memoria, che è per così dire una sorta di "memoria tramandata". Attività questa che consente ai giovani di venire in contatto con esperienze di vita spesso esemplari, ma consente altresì loro di contribuire ad una azione fondamentale per una società civile che è quella di non disperdere la memoria del passato.

         Ma l'esempio forse più tangibile per questi giovani è il tempo che stanno vivendo o che si accingono a vivere che è proprio l'esperienza sui campi antimafia; trattasi di un'esperienza bellissima non solo per questi giovani, ma anche per noi anziani che contribuiamo a farla maturare.

 

Franz Kafka, boemo (Repubblica Ceca) vissuto a cavallo dei due secoli passati (1883-1924) considerato una delle maggiori figure letterarie del '900, soleva dire:

"La giovinezza è felice perché ha la capacità di vedere la bellezza. Chiunque sia in grado di mantenere la capacità di vedere la bellezza non diventerà mai vecchio."

 

         Il secondo punto riguarda invece proprio le origini di questa esperienza che oggi voi state conducendo. Sento insomma doveroso ricordare in questa occasione un grande martire della mafia, Pio La Torre, il cui nome è legato alla legge n° 646, approvata il 13 settembre 1982 ed entrata in vigore il 29 dello stesso mese (meglio nota con il nome di legge Rognoni-La Torre).

La legge n. 646, all'art. 1, recita: "Dopo l'articolo 416 del codice penale e' aggiunto il seguente:  "Art. 416-bis - Associazione di tipo mafioso" che riconosce il reato di associazione mafiosa e prevede la confisca dei beni ai mafiosi. Questa legge ha fatto dire ad uno dei più atroci criminale degli ultimi tempi, Giovanni Brusca detto "lo scannacristiani" oppure in gergo siciliano "u verru", il porco, di non temere l'antimafia quando arrestava, ma quando toglieva la "robba".

         Lo ricordo così Pio La Torre.

Pio La Torre è uno di quegli uomini la cui vita breve (fu assassinato il 30 aprile del 1982 ad appena 55 anni) è una di quelle vite che riappacificano l'uomo con l'umanità.

Le azioni messe in campo da Pio La Torre nel corso della sua vita, come sindacalista e come politico che non posso qui ripercorrere, hanno avuto anche su di me, sin da quel fatidico giorno della sua uccisione di cui ho un vivo ricordo e che ho vissuto con grande emozione, l'effetto di rappacificarmi con il mondo.

Un mondo nel quale sciami di umanità starnazza, come in un pollaio fanno i polli, tra "coccodè e chicchirichì", tra sotterfugi e spintoni, tra sopraffazioni, corruttele e delitti di ogni genere con il solo fine di prevalere sugli altri simili e soddisfare così il proprio interesse materiale.

La presenza nella nostra distratta umanità di queste fulgide figure dalla limpida personalità (ricordo anche Carlo Alberto Dalla Chiesa, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino) che, in piena contraddizione con quel modo di vivere sciagurato, antepongono al proprio bene personale il sacrificio anche della vita per il bene degli altri, rappresenta l'elemento fondamentale che spinge alla succitata rappacificazione.

Non posso qui ripercorrere tutte le fasi dell'esistenza di Pio La Torre ma ci tengo particolarmente a soffermarmi solo su due di esse, che ritengo estremamente significative.

         La prima è proprio quella che apre la sua vita. Pio La Torre nasce, quarto di cinque figli, ad Altarello di Baida, che è una povera borgata di Palermo, da famiglia poverissima il 24 dicembre del 1927. Il padre Filippo, analfabeta come la madre, si ammazza di lavoro in un piccolo campo di proprietà alle falde di Monreale dal quale riesce stentatamente a ricavare quanto serve per vivere alla famiglia. Egli percepisce subito che non è quella la vita che vuole per i suoi figli e fa ogni sacrificio per fare studiare Pio non utilizzandolo a tempo pieno in campagna; ciononostante Pio, già sedicenne, è costretto a lavorare come edile per pagare le tasse scolastiche presso l'I.T.I. dove studia con abnegazione per conseguire il diploma., che consegue regolarmente a 18 anni. In questa fase decisiva per la sua formazione, sempre aperto e partecipe degli avvenimenti storici di quegli anni riesce ad evitare le lusinghe del fascismo e anche quelle del banditismo. Egli sceglie di sacrificarsi nel lavoro edile per continuare e terminare gli studi medi e iscriversi all'Università.

Personalmente penso che non si possa offrire alle nuove generazioni, che oggi sono senza futuro, un esempio di vita più efficace e più dirimente: il sacrificio nel lavoro faticoso per arricchire la propria mente con lo studio al fine di raggiungere l'obiettivo di comprendere appieno e con adeguati strumenti la realtà che lo circonda e, dunque, per modificarla in meglio nell'interesse generale. Egli centra senza titubanze questo obiettivo e inizia sin dall'adolescenza ad interessarsi del sociale.

Pio La Torre  non è solo un esempio straordinario da questo punto di vista, ma rappresenta anche la riconferma che di fronte a qualsiasi avversità ambientale si può con successo mantenere la barra dritta senza venir meno ai propri ideali.

         L'altra fase della sua vita è quella che lo vedono parlamentare eletto alla Camera; per la prima volta, l'8 maggio del 1972, per la seconda volta il 21 giugno del 1976 e per una terza volta nelle elezioni anticipate del 3 giugno 1979 e che lo vedono protagonista non solo come politico, ma anche come sindacalista e come pacifista, impegnato su un territorio dove lo strapotere della mafia semina morti a catena

         Per la sua esperienza nella studio del fenomeno mafioso e nella lotta alla mafia maturata in Sicilia, Pio La Torre sin dal 1962 diventa stretto collaboratore di Girolamo Li Causi, vice presidente della Commissione antimafia nella terza, quarta e quinta legislatura e, già dal suo primo mandato alla Camera nella sesta legislatura, viene nominato vice presidente della Commissione antimafia, al posto di Li Causi, dove continua senza sosta il suo lavoro di contrasto al fenomeno mafioso.

Egli fu il primo firmatario della proposta di legge n° 1581, presentata alla Camera dei deputati il 31 marzo 1980 - norme di prevenzione e di repressione del fenomeno della mafia e costituzione di una Commissione permanente di vigilanza e controllo- La proposta è estremamente innovativa perché individua nell'associazione mafiosa un reato grave perseguibile dal codice penale e introduce interventi restrittivi sul patrimonio dei mafiosi.

         Furono necessari: il suo assassinio (30 aprile) e quello del generale Alberto Dalla Chiesa (3 settembre) perché questo d.d.l., integrato da quello governativo dell'epoca, trovasse rapidamente la sua traduzione in legge con la legge n° 646 richiamata sopra.

         Uno dei grandi meriti di La Torre è quello di aver fornito l'idea per ingaggiare la grande lotta, non solo a Cosa Nostra, ma a tutte le mafie, facendo compiere al nostro Paese un salto di civiltà nell'ordinamento giuridico.

Quello delle idee è, a mio avviso, il primo livello di elaborazione che conduce a centrare l'obiettivo vincente della lotta alle mafie. Tale livello compete al potere legislativo.

Ma vi è un secondo livello non meno importante che è il livello della attuazione delle idee; esso compete non solo al potere giudiziario, ma anche a quello politico per la messa a punto di tutta la normazione secondaria necessaria.

Vi è poi un terzo livello ancora, anch'esso non meno importante degli altri, che è quello dell'impegno per il raggiungimento dei risultati attesi, che compete non solo alle strutture dell'ordine pubblico e carcerarie, ma anche alle organizzazioni della società civile, come Libera che è un esempio ammirevole sul versante dei beni confiscati alle mafie senza voler con ciò sminuire il valore dell'impegno di quante associazioni, vedi quelle che ho richiamato prima, e singoli si battano quotidianamente nel sociale per sconfiggere questo ributtante fenomeno che è quello mafioso.

Grazie a voi giovani per il contributo che state dando.

 

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elio arsenio 10.09.2013 16:13

Condivido l'articolo . Spero che un giorno la scuola avvii lo studente direttamente sul lavoro, eliminando i praticantati. Sono uincamente sfruttamento

Commenti più recenti

08.10 | 09:47

Bella pagina di un pensionato educatore che continua a prestare e divulgare il suo sapere a chi non puo' o non ha potuto studiare per motivi inerenti al vissuto

25.09 | 09:50

Caro Mario ho arguto, per aver di fatto scritto a lungo e... A vanvera, che qui non si possa scrivere a lungo. Lo farò sulla tua mail...

09.08 | 04:15

L'analisi presentata dal Dirigente scolastico Mario Carolla è puntuale e realistica e ne condivido in pieno la sua struttura innovativa .

09.06 | 04:22

Ateismo e Agnosticismo :va bene così.La maiuscola va bene.Non avevo battuto io:ho affidato ad altri un lavoro che mi stanca subito.Preferisco la penna.